Le banche studiano l’exit strategy dal debito pubblico italiano

Le banche europee ancora non si fidano. Non del tutto almeno. Le dimissioni di Silvio Berlusconi e l’arrivo di un tecno-governo per risollevare le sorti dell’Italia, da sole, non sono una garanzia di immunità da crisi prolungata. Così, alcuni grandi istituti del Vecchio continente sono al lavoro per pianificare la dismissione di una parte dei circa 300 miliardi di euro in titoli del Tesoro presenti nei rispettivi forzieri. A rivelarlo è un dossier di «International Financing Review», secondo cui i big della finanza continentale temono di dover fare i conti con un sisma simile a quello greco. Durante la crisi ellenica gli istituti europei hanno mantenuto in portafoglio i titoli del debito di Atene «più di quanto avrebbero dovuto», a causa delle pressioni dei governi nazionali e della convinzione che i credit default swap – i prodotti derivati con cui vengono assicurati i bond di stato -, li avrebbero messi al riparo da perdite pesanti. «Quando il precipitare degli eventi ha accelerato la dismissione, era troppo tardi», dice il dossier della pubblicazione accademica. Collocare i titoli sui mercati secondari ovvero trovare acquirenti, è stato assai arduo.

È questo il momento di vendere, secondo alcuni grandi attori della finanza continentale, almeno sino a quando il Quantitative easing della Bce, ovvero l’acquisto di bond italiani volto a sostenerne la domanda, non sarà ufficialmente concluso. Secondo un rapporto della European banking authority, i 90 più grandi istituti del continente detengono circa 326 miliardi di debito italiano, su circa 1.900 miliardi di esposizione complessiva, 300 miliardi dei quali con scadenza 2012.

Una mappatura dell’esposizione sul debito italiano l’hanno fornita gli stress-test compiuti dalla Eba: a dicembre dieci tra i principali istituti creditori dell’Italia erano stranieri. Bnp Paribas deteneva 28 miliardi di euro in titoli, Dexia, 15,8 miliardi di euro, Commerzbank 11,7 miliardi, Credit Agricole 10,8 miliardi e Hsbc 9,9 miliardi. Da allora gli istituti hanno ridotto la loro esposizione, Bnp Paribas ad esempio ha ceduto 8,3 miliardi di euro in titoli nei quattro mesi terminati alla fine di ottobre, mentre Commerzbank, nei primi nove mesi del 2011, ne ha dati via 1,8 miliardi di euro.

«Cosa vedremo nelle prossime settimane? La vendita di consistenti volumi di titoli a breve termine», spiega Eric Strutz, direttore finanziario di Commerzbank. «Noi pensiamo a un’ulteriore riduzione di 2 miliardi di euro nel quarto trimestre». A vendere, secondo il dossier di Ifr, sarà anche Société Générale che da giugno ha dimezzato l’esposizione sull’Italia a 2,5 miliardi di euro, e Barclays che l’ha ridotta di oltre un miliardo nel terzo trimestre.

Tutto questo rischia di avere ricadute a Francoforte, dove la Bce è impegnata a contenere le spinte al rialzo dei rendimenti che la scorsa settimana hanno raggiunto quota 7,5% nel caso dei decennali, record italiano dalla nascita dell’Eurozona e massimo interno dal 1997. E come ha dimostrato l’aumento dei margini di garanzia da parte di Lch Clearnet, la seconda camera di compensazione dei bond, con i titoli a scadenza decennale scambiati a 85 centesimi su un valore nominale di un euro, trattare obbligazioni del Tesoro italiano richiede garanzie finanziarie più robuste.

Se il clima di incertezza condiziona l’Europa centrale, le banche italiane appaiono più fiduciose. «Secondo gli stress test, lo scorso dicembre Intesa Sanpaolo deteneva 60 miliardi di euro in debito italiano, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena, rispettivamente 49 e 32 miliardi», riporta Ifr. E queste esposizioni sono variate di poco negli ultimi dieci mesi. «Continueremo ad investire la maggior parte della nostra liquidità in titoli del Tesoro», ha detto Corrado Passera durante una recente conferenza con gli analisti. Secondo l’ad «si tratta di titoli che danno il giusto rendimento vis-à-vis al costo. Quindi non è previsto un cambio di strategie». A questo, concludono gli analisti di Ifr, si aggiunge un fattore tecnico: «I requisiti introdotti da Basilea impongono livelli minimi di capitale a guardia della stabilità. E questo è un deterrente alle vendite di massa di titoli sovrani, compresi Bot e Btp».

fonte: www.lastampa.it

 

 

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